La Shoah può non essere insegnata ai bambini ma
raccontata sì. È questo il progetto pilota che vede l’asilo di
sant’Egidio di Roma fra i primi organizzatore dell’evento che vuole
raccontare la Shoah ai bambini. Con tutta la forza che il raccontare
storie, in questo caso accadute, può avere per la formazione delle
coscienze. I bambini degli asili di oggi sono dei bambini
sorprendenti, non possiamo immaginare quanto siano intelligenti e
sensibili, grazie anche all’aiuto di insegnanti altrettanto intelligenti
e sensibili. Raccontare all’infanzia la discriminazione razzista è un
compito che ogni società libera dovrebbe intraprendere. Abbiamo scelto quindi un testo che narra della
razzia del 16 ottobre a Roma, dove i bambini non furono risparmiati,
raccontata dalle parole di Anna Foa. Anna Foa era già nella pancia di
sua madre quando questa fu catturata e imprigionata, e se la madre
avesse seguito la sorte dei molti ebrei o resistenti al fascismo, ora
Anna non ci sarebbe e con lei i suoi libri e i suoi lavori di storica.
Il suo libro apre per La Shoah dell’Arte un capitolo che approfondiremo
nelle prossime edizioni: La Shoah delle parole. Lettura a cura di Anna Foa e Vittorio Pavoncello Con i bambini dell’asilo Asilo Sant’Egidio Roma
Nel 2013 Anna Foa
pubblica per Laterza, nella collana “I Robinson”, il testo Portico
d’Ottavia 13 che racconta,
attraverso la casa che corrisponde al numero civico del titolo, la
storia dei suoi abitanti nei mesi che segnarono la deportazione degli
ebrei romani: le fughe, gli arresti, i tradimenti, le violenze vissute
tra le strade del ghetto capitolino e le trentacinque persone che furono
da quell’indirizzo deportate la mattina del 16 ottobre 1943. Oggi, in una riduzione curata da Carola Susani,
la casa si fa protagonista di un testo rivolto ai ragazzi, accompagnato
dalle immagini di Mattero Berton che – grazie alla scelta cromatica –
riesce a regalare al lettore la sensazione di una storia che viene dal
passato e il cui ricordo riemerge nel racconto che ne viene fatto e
insieme le impressioni cupe e terribili della tragedia che prende vita
in un mattino che segue il giorno di festa, un orrore a cui nessuno
vuole credere, tanto che alcuni nemmeno scappano o si lasciano fuggire
gli uomini nell’illusione che i tedeschi cerchino loro soltanto. La rievocazione storica nasce dell’interrogarsi
su chi abbia abitato in quelle stanze, salito quelle scale, giocato in
quel cortile, rievocando la leggenda che vuole la casa abitata da un
fantasma di donna: ecco allora che compare Costanza, che lì ha vissuto
bambina e che è fuggita quel 16 ottobre lasciandosi tutto alle spalle.
Lei e i membri della sua famiglia sono sopravvissuti, ma non per tutti è
stato così: tornano allora i nomi, i soprannomi, le parentele, le
caratteristiche di ciascuno e l’evocazione di quella mattina in cui i
soldati entrarono facilmente perché il portone dello stabile era
sfondato da tempo e non veniva chiuso. I nomi scorrono come in un elenco
di memoria e contribuiscono a rendere davvero reale al lettore quel che
raccontano. Un testo adatto, grazie alla sua struttura, ad
essere letto insieme, ad essere condiviso ad alta voce, per rendere vive
accanto chi legge e a chi ascolta i bambini, i ragazzi, gli
adulti che sono citati. Tenendo d’occhio le carte di guardia, le strade
del ghetto che riproducono, immaginando vie di fuga o angoli su cui si è
posato per l’ultima volta lo sguardo di chi veniva trascinato verso la
deportazione. Anna Foa – ill. Matteo
Berton, Portico d’Ottavia, Laterza 2015, 64 p.
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